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CS, una proteina del sangue predice il rischio di cancro e infarto negli anziani

Una ricerca congiunta condotta da Sapienza Università di Roma in collaborazione con I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, Università LUM Giuseppe Degennaro e Mediterranea Cardiocentro di Napoli e ha messo in luce un’associazione significativa tra ipoalbuminemia (bassi livelli di albumina nel sangue) e un aumento del rischio di mortalità per malattie vascolari e cancro in individui anziani.

La ricerca, condotta sulla base dei dati raccolti dallo studio epidemiologico Moli-sani e pubblicata sulla rivista scientifica eClinical Medicine-Lancet, ha analizzato un vasto gruppo di persone (circa 18.000 soggetti, dei quali 3.299 di età pari o superiore ai 65 anni), dimostrando che livelli di albumina inferiori a 35 g/L sono collegati a un rischio maggiore di morte negli anziani. Questa relazione è stata osservata anche dopo aver escluso fattori come malattie renali o epatiche e stati infiammatori acuti, che possono influenzare i livelli di albumina.

“Oltre a fornirci lo spunto per approfondire con ulteriori ricerche il rapporto tra albumina nel sangue e salute – commenta Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed e Professore Ordinario di Igiene dell’Università LUM – questo studio può avere implicazioni dirette sulla pratica clinica e sulla prevenzione. La misura dell’albumina nel sangue è infatti un test semplice e poco costoso. È quindi da considerare un’analisi di primo livello, che permetterebbe di porre una maggiore attenzione clinico-diagnostica verso gli individui anziani potenzialmente a rischio. Il nostro studio fornisce anche un valore di riferimento (35 g/L) che può guidare il medico nell’interpretazione della misura di albumina”.

“La possibilità di ottenere indicazioni predittive su malattie con alta incidenza e elevato rischio di morte – come quelle cardiovascolari o i tumori – attraverso un esame semplice e ampiamente disponibile, anche a basso costo, rappresenta una importante conquista per la medicina moderna” – commenta la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni. “Questo studio, che conferma e consolida l’eccellenza delle attività scientifica delle università e degli enti di ricerca italiani in campo medico, ha anche un importante valore sociale attribuibile alle possibili ricadute nell’ambito della prevenzione”.

“La nostra analisi – dice Francesco Violi, Professore Emerito della Sapienza Università di Roma e ideatore dello studio – origina dal fatto che nel sangue l’albumina è una proteina che svolge attività antiossidante, antinfiammatoria e anticoagulante. La sua diminuzione, pertanto, accentua lo stato infiammatorio sistemico, facilitando l’iperattività delle cellule predisposte alla cancerogenesi o alla trombosi. È importante,  in questo contesto, sottolineare che cancro e infarto cardiaco condividono una base comune proprio nella presenza di uno stato infiammatorio cronico, e che pazienti a rischio di malattie cardiovascolari, come i diabetici e gli obesi, sono anche a rischio di cancro”.

Un dato interessante della ricerca è che l’ipoalbuminemia è correlata a un livello socioeconomico più basso. Questo solleva un’importante questione sociale, poiché per motivi economici, gli anziani optano spesso per una dieta meno salutare, scegliendo alimenti con proteine meno nobili.

“I risultati del nostro studio – aggiunge Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo della Mediterranea Cardiocentro e dell’I.R.C.C.S. Neuromed- mostrano che un livello basso di albumina, oltre a fornire indicazioni sullo stato nutrizionale e sulla salute del fegato, segnala anche una aumentata suscettibilità verso altre gravi patologie. L’ipoalbuminemia potrebbe riflettere quel processo infiammatorio cronico, tipico  dell’invecchiamento, noto come ‘inflammaging’, che potrebbe aver contribuito al rischio elevato di mortalità che abbiamo osservato.”

Al National Biodiversity Future Center le scienziate sono il 57%

L’11 febbraio si celebra la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella Scienza: un’occasione per riflettere sui traguardi raggiunti, ma anche sulla strada che è ancora da percorrere.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Unesco (2021), in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico (STEM) le donne rappresentano ancora meno di un terzo del totale della forza lavoro, nonostante le laureate costituiscano il 45% del totale. L’Italia presenta un divario ancora più ampio, con una percentuale del 16,5% di ragazze laureate in facoltà scientifiche, contro il 37% dei ragazzi.

Inoltre, numerosi studi hanno rivelato che le donne in campi STEM pubblicano meno, sono pagate meno per la ricerca e fanno meno carriera degli uomini. Gli stereotipi culturali e le aspettative familiari distolgono ancora le donne dal voler intraprendere una carriera nel campo delle materie scientifiche.

Con NBFC, Il National Biodiversity Future Center, primo centro di ricerca italiano sulla biodiversità finanziato dal PNRR, che mira a promuovere la gestione sostenibile della biodiversità su tutto il territorio italiano, assistiamo a un’inversione di rotta. NBFC costituisce una felice anomalia sia a livello italiano sia a livello mondiale: dei circa 2000 ricercatori impegnati a studiare e salvaguardare gli ecosistemi della Penisola, il 57% è donna.

La Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella Scienza, introdotta il 22 dicembre 2015 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, rimarca il ruolo fondamentale ricoperto dalle donne nella scienza. La maggioranza delle ricercatrici e dottorande reclutate da NBFC ha un’età compresa tra i 26 e i 35 anni. Interrogate in merito alla questione di genere, dichiarano di non percepire una particolare discriminazione rispetto ai colleghi uomini e hanno la consapevolezza di come in
relazione al passato siano stati fatti molti passi in avanti per le donne nella ricerca. Molte di esse notano, tuttavia, una discriminazione più indiretta, incentrata su stereotipi di genere, quali la presunta maggiore delicatezza della donna o la maggiore propensione a fare attività da scrivania. I due aspetti in cui ancora sono registrate importanti differenze riguardano la possibilità di fare
carriera e la maternità. Tali ambiti spesso sono profondamente interconnessi ed è più difficile per le donne raggiungere posizioni apicali in quanto subiscono una pressione, sociale e politica, a essere prima madri, poi scienziate. Ciò rivela la necessità di politiche a sostegno delle donne lavoratrici con figli, che eliminino le difficoltà nel conciliare lavoro e vita privata.

A tutto ciò si aggiunge la componente culturale. Sin da piccole, le donne vengono indotte a credere di essere più portate per le materie umanistiche, o per materie legate all’educazione e alla cura, a scapito di quelle tecniche: un pregiudizio di genere che ancora affolla i corridoi della ricerca scientifica. L’istruzione è un altro tema cruciale: gli stereotipi di genere e i pregiudizi vanno messi in discussione, in primo luogo nelle scuole, incoraggiando le bambine a perseguire la loro passione per le materie scientifiche.

ph credit NBFC

Diabete e vista: un agoritmo per la diagnosi della retinopatia diabetica

DAIRET® (Diabetes Artificial Intelligence for RETinopathy), un sistema di intelligenza artificiale per la valutazione automatizzata della retinopatia diabetica, ha dimostrato una sensibilità del 100 per cento nell’individuazione dei casi di grado moderato o severo, ovvero forme della malattia che possono mettere a rischio la vista e che richiedono quindi l’intervento dell’oculista. Questo è il risultato chiave del primo studio condotto interamente in Italia sull’intelligenza artificiale nella retinopatia diabetica, “Feasibility and accuracy of the screening for diabetic retinopathy using a fundus camera and an artificial intelligence pre‑evaluation”, recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Acta Diabetologica, in cui sono stati arruolati 637 pazienti seguiti presso i centri diabetologici e oculistici della Asl Torino 5 per valutare l’accuratezza e l’affidabilità di questo algoritmo di apprendimento automatico.

In Italia, sono oltre 1 milione le persone con diabete che soffrono di retinopatia diabetica, la principale complicanza del diabete e la prima causa di cecità in età lavorativa. Tutte le linee guida sul diabete, nazionali e internazionali, sia per il diabete tipo 1 sia tipo 2, raccomandano una valutazione regolare e precoce dello stato della retina e un intervento immediato, se necessario. Tuttavia, l’accesso a questo tipo di screening nei paesi sviluppati è basso, in parte per la complessità e il costo delle procedure e in parte perché in molti Paesi, Italia inclusa, questo screening viene effettuato dagli oculisti, gravando sulle liste di attesa.

Questo studio si basa, infatti, sulla necessità di trovare procedure semplificate e con un costo contenuto per implementare lo screening della retinopatia in popolazioni numerose, com’è quella delle persone con diabete, e richiedere l’intervento di oftalmologi solo in casi strettamente necessari.

«L’algoritmo di intelligenza artificiale ha dimostrato di essere molto efficiente nell’individuare la retinopatia di grado moderato e severo, con la certezza che nessun paziente che necessita di un oculista venga erroneamente diagnosticato come negativo», spiega Carlo Bruno Giorda, Principale ricercatore dello studio. «Considerato il sempre crescente numero di persone con diabete e l’importanza di questo screening, che spesso non viene effettuato a causa delle lunghe liste di attesa, si è reso necessario l’utilizzo di sistemi di valutazione automatizzata delle immagini per sveltire il percorso diagnostico, riducendo l’onere per gli specialisti e il tempo di attesa per i pazienti. Ovviamente non si parla di sostituire la professionalità dell’oculista, ma di dargli un importante supporto nelle fasi più complesse. Inoltre, auspichiamo che le evidenze emerse dallo studio offrano alle società scientifiche diabetologiche spunti di riflessione circa la possibilità di applicare questa nuova metodica di screening nella pratica clinica quotidiana», conclude.

DAIRET®, inoltre, ha mostrato anche nei soggetti che hanno più di 70 anni un livello di sensibilità del 100 per cento per le forme moderate o severe, anche se le patologie oculari senili fanno leggermente diminuire il numero di pazienti sottoponili a questo test.

DAIRET® è un sistema messo a punto da Retmarker, società portoghese controllata dal gruppo italiano Meteda, che vanta un’ampia esperienza internazionale con oltre 500mila pazienti esaminati. Il dispositivo, che può essere utilizzato da personale infermieristico non specializzato, è gestito all’interno della cartella clinica elettronica MètaClinic, attualmente installata nel 90 per cento dei centri di cura per il diabete italiani e utilizzata con regolarità dal personale sanitario, permettendo così al medico di avere a disposizione tutti i dati clinici del paziente con un semplice clic.

Meteda Srl e la controllata Retmarker SA sono costantemente impegnate in programmi di ricerca e sviluppo concernenti l’aggiornamento del sistema di screening della retinopatia diabetica Dairet® la cui versione in Intelligenza Artificiale basata su metodo deep learning è di imminente introduzione nel mercato.

foto crediti my-personaltrainer.it

Artrite reumatoide, raggiungere la remissione clinica consente al paziente di risparmiare più di 12.000,00 € l’anno

L’artrite reumatoide è una patologia reumatica infiammatoria e cronica che colpisce 23,7 milioni di persone in tutto il mondo e circa 300.000 in Italia, con 5.000 nuove diagnosi ogni anno, oltre a rappresentare un notevole peso a livello emotivo e fisico sulla vita delle persone, ha anche una ripercussione molto forte in termini di impatto economico sui costi diretti e indiretti della malattia.

L’impatto economico dell’artrite reumatoide è dunque molteplice: da un lato i costi diretti caratterizzano il percorso assistenziale del paziente all’interno del SSN, con ricoveri ospedalieri, cure infermieristiche, prestazioni specialistiche, fisioterapia, dispositivi ortopedici e farmaci; dall’altro, una persona affetta da AR non sempre riesce a lavorare a pieno regime, con conseguente riduzione della produttività o, in molti casi, con relativo ricorso alle prestazioni fornite dal sistema previdenziale, come assegni ordinari di invalidità, pensioni di inabilità e indennità di accompagnamento (costi indiretti).

AbbVie ha presentato oggi, presso la Sala Caduti di Nassirya del Senato, i risultati di un’analisi di cost-of-illness condotta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore per determinare l’impatto economico legato alla gestione del paziente adulto con AR in fase attiva da moderata a severa. Uno studio che porta a considerare la remissione clinica della malattia come un obiettivo comune per il reumatologo e per il paziente che consentirebbe di ridurre il peso economico per il SSN e per il paziente.

“Si tratta di una patologia che può provocare dolore intenso alle articolazioni, gonfiore, rigidità e perdita di funzionalità, provocando conseguenze invalidanti. Generalmente colpisce le mani, i piedi e i polsi e un sintomo generale è la stanchezza. I pazienti possono avere improvvise riacutizzazioni, ovvero periodi in cui i sintomi peggiorano, difficili da prevedere – spiega il Prof. Gian Domenico Sebastiani, Presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR). La remissione clinica è un obiettivo di primaria importanza per il reumatologo e, soprattutto oggi che abbiamo ampliato l’armamentario terapeutico, raggiungere la remissione è possibile – conclude il Prof. Sebastiani”.

L’artrite reumatoide è una patologia cronica, dalla quale non è possibile guarire. Tuttavia, nel corso degli ultimi 20 anni, i progressi ottenuti hanno consentito a molti pazienti di raggiungere la remissione, che può essere definita come la condizione in cui i segni e i sintomi della patologia sono completamente assenti o comunque si manifestano raramente” – dichiara il Prof Fausto Salaffi, Professore Associato di Reumatologia presso la clinica Reumatologica dell’Ospedale di Jesi (Ancona). “I pazienti in remissione – continua il Prof. Salaffi – hanno una qualità di vita migliore, una maggiore funzionalità fisica e anche una superiore capacità lavorativa rispetto ai pazienti con bassa attività di malattia . Il reumatologo dovrebbe sempre applicare un controllo stretto della patologia, consentendo al paziente di raggiungere la remissione in tempi rapidi”.

In Italia, il burden economico associato all’artrite reumatoide supera una spesa media annua di 2 miliardi di euro; di questi, circa 931 milioni sono attribuibili a costi diretti sostenuti dal SSN (45% del totale peso economico), circa 205 milioni sono a carico dei pazienti in termini di costi diretti non sanitari e circa 900 milioni di costi indiretti sono attribuibili a perdita di produttività per giornate di lavoro perse o prestazioni previdenziali.

“I risultati dell‘analisi rappresentano i primi dati italiani sul valore economico della remissione nell’AR – dichiara il Prof. Americo Cicchetti, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore di Altems. In particolare, vogliamo soffermarci sull’impegno economico che grava sulle spalle sia del paziente che del caregiver: la mancata remissione nell’AR, soprattutto nelle forme più severe della patologia, causa ad esempio assenteismo e perdita di produttività, sia per il paziente che per il caregiver: il primo può arrivare a perdere più di 5 giornate lavorative al mese, circa 72 ore al mese, 892 l’anno quindi, che corrispondono ad una perdita economica di più di 12.000,00 € l’anno; il secondo si attesta sulle 25 ore al mese, 300 l’anno per una perdita economica di circa 450,00 € l’anno”.

Fondamentale il sostegno e il coinvolgimento delle Associazioni di pazienti.

“La remissione clinica deve rappresentare l’obiettivo prioritario nel trattamento dell’artrite reumatoide – afferma Antonella Celano, Fondatore e Presidente APMARR, Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare. Essere in remissione non vuol dire aver sconfitto la patologia e ogni paziente la interpreta in modo differente: per alcuni coincide con la totale assenza di sintomi, altri invece la definiscono così quando manifestano solo riacutizzazioni occasionali. La remissione, in particolare quando è continua e duratura, consente a noi persone affette da AR di vivere una vita normale, potendo continuare a lavorare e senza dover rinunciare a qualcosa anche dal punto di vista sociale”.

“L’obiettivo delle associazioni di pazienti è di supportare e aiutare concretamente tutte le persone affette da malattie reumatiche – prosegue Silvia Tonolo, Presidente ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici). Il percorso che porta all’accettazione della patologia è lungo e tortuoso, parlare di AR costituisce spesso un tabù anche perché è una patologia non ancora molto conosciuta, al contrario delle malattie cardiovascolari o delle patologie oncologiche. Incertezza, frustrazione oltre che dolore e affaticamento incidono in diversa misura sulle persone; per questo è di vitale importanza il confronto aperto e diretto tra medico e paziente che deve avere come obiettivo principale la remissione clinica della malattia”.

“L’Italia, grazie all’impegno e alla competenza dei nostri clinici, è in prima linea nella lotta all’artrite reumatoide. Ma dobbiamo fare ancora di più – ha dichiarato l’Onorevole Simona Loizzo, XII Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati – le Istituzioni, infatti, lavorando al fianco di società scientifiche, associazioni di pazienti e aziende, possono contribuire in modo sostanziale non solo garantendo maggiori risorse ma anche promuovendo misure a sostegno delle persone che convivono con patologie così invalidanti”.

L’incontro è stato anche l’occasione per presentare “Complete the Picture – Non accontentarti di una vita a metà: parla con il tuo reumatologo”, la campagna informativa sulla AR promossa da AbbVie e realizzata con il patrocinio di APMARR e ANMAR, incentrata su www.missioneremissione.it, un sito web in cui è possibile trovare informazioni sulla patologia e consigli pratici per la sua gestione quotidiana, video di approfondimento con reumatologi, nutrizionisti, psicologi e fisiatri.

“L’idea della creatività della campagna, che propone una chitarra tagliata a metà, nasce dalla consapevolezza che vivere con l’artrite reumatoide non sia semplice e costringe a fare delle rinunce, non riuscendo a vivere a pieno la propria vita – conclude la dott.ssa Annalisa Iezzi, Direttore Medico di AbbVie. Troppi pazienti con artrite reumatoide non raggiungendo la remissione della malattia sono costretti a vivere una vita a metà, proprio come la chitarra della campagna. Siamo orgogliosi di portare avanti questa iniziativa di sensibilizzazione e fermamente convinti che il lavoro congiunto tra aziende, clinici, Associazioni di pazienti e Istituzioni sia fondamentale per migliorare la qualità di vita delle persone affette dalle patologie reumatologiche”.

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Vaccini contro tumori e malattie cardiache entro il 2030

Entro il 2030 milioni di persone potrebbero salvarsi la vita grazie a dei nuovi vaccini studiati a posta per il cancro, le malattie cardio vascolari e autoimmuni. A dirlo è Paul Burton, a capo di Moderna, in 5 anni saranno disponibili, avverte, trattamenti per “tutti i tipi di patologie”. “Avremo il vaccino per il cancro e sarà altamente efficace e salverà centinaia di migliaia, se non milioni di vite. Penso che saremo in grado anche di poter offrire vaccini contro il cancro personalizzati contro diversi tipi di tumore a persone in tutto il mondo”, ha affermato in un’intervista rilasciata al The Guardian, il capo medico di Moderna.

E poi, anche Pfizer sostiene di aver fatto importi progressi anche in questo senso.

Ma ricercatori avvertono che la minaccia potrebbe arrivare da un allargamento del conflitto in Europa.

L’attenzione potrebbe calare, e i fondi per l’investimento della ricerca indirizzati verso altro.

foto crediti gazzettadelsud

Vaiolo scimmie, dal Portogallo arriva la prima sequenza del genoma

Arriva dal Portogallo la prima sequenza del vaiolo delle scimmie: resa nota online, è stata ottenuta grazie a un gruppo di ricerca scientifica della Bioinformatics Unit, Department of Infectious Diseases, National Institute of Health Doutor Ricardo Jorge (INSA), a Lisbona.

Il virus che sta preoccupando e si sta allargando tra diversi paesi del mondo, sembra molto simile a quello che si era presentato nel 2018/19 in Gran Bretagna, Singapore e Israele, per citarne alcuni.

Nel 2018, ci sono stati tre casi nel Regno Unito dopo che una persona tornata dalla Nigeria aveva infettato altri due membri della sua famiglia.

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Epilessia, esperti a confronto, verso nuove terapie farmacologiche

L’epilessia è una delle patologie neurologiche più diffuse al mondo, che interessa tutte le età evolutive della vita, coinvolgendo circa 50-70 milioni di persone nel mondo, di cui solo 500mila in Italia.

E’ più frequente in età infantile e in età avanzata che può interferire anche con le normali attività quotidiane e lavorative.

Una ricerca scientifica recente, ha compiuto enormi passi avanti in avanti nella diagnosi e cura della malattia.

Negli ultimi 15-20 anni, il numero dei farmaci disponibili è notevolmente aumentato, ma c’è ancora molto da fare, considerando anche il fatto che circa il 30% dei pazienti presenta ancora oggi crisi non completamente risolte e controllate dalla terapia e che oltre il 30% delle persone con epilessia soffra anche di forme farmaco-resistenti alla malattia.

Di questi temi, e di molto altro ancora, si è ampiamente discusso durante il ‘Bright Connections’, convegno organizzato da Ucb, a Milano, con l’obiettivo di far luce sulla patologia e sulle possibili opzioni di trattamento disponibili approfondendo l’apporto dell’innovazione in senso assoluto, tecnologico e sanitario.

Ucb – si legge in una nota – raccoglie e pubblica costantemente nuovi risultati scientifici dedicati al suo portafoglio di trattamenti: brivaracetam, lacosamide, levetiracetam e midazolam spray nasale (per il momento approvato dalla statunitense Fda). Anche nel 2022 nuove pubblicazioni di real world evidence confermano il valore dell’impegno di Ucb per le persone con epilessia e i loro caregiver. Inoltre, l’acquisizione di recente confermata di Zogenix da parte di Ucb segnala il tentativo di fare la differenza per l’azienda anche in forme di epilessia più rare e difficili da trattare, come la sindrome di Dravet.

ph crediti messinamedica.it