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Astrazeneca: “Il vaccino anti Covid può provocare trombosi rara”

L’azienda AstraZeneca ha ammesso per la prima volta in assoluto che uno degli effetti collaterali del suo vaccino contro il Covid-19 può essere la sindrome da trombosi con trombocitopenia (TTS).

A darne notizia è il Telegraph, citando anche documenti presentati in tribunale. È stata presentata un’azione legale collettiva contro l’azienda perché il vaccino, sviluppato insieme all’Università di Oxford, ha causato danni molto gravi o talvolta anche fatali a diversi pazienti, si legge nel comunicato stampa.

“Il vaccino può causare, in casi molto rari, una sindrome da trombosi con trombocitopenia (Tts). Le cause sono sconosciute”, si legge in un estratto di un documento fornito dall’azienda a un tribunale lo scorso febbraio. Secondo i media, sono state presentate 51 richieste di risarcimento all’Alta Corte di Londra, in cui le vittime e le loro famiglie chiedono danni per circa 125 milioni di dollari. La sindrome da trombosi con trombocitopenia causa coaguli di sangue e un basso numero di piastrine, ha spiegato il quotidiano inglese.

La prima richiesta, spiega l’articolo, è stata presentata l’anno scorso da Jamie Scott, che, dopo la somministrazione del vaccino nell’aprile 2021, ha sviluppato un coagulo di sangue e un’emorragia cerebrale, che avrebbe causato danni permanenti al cervello. Viene citato anche il caso della famiglia di Francesca Tuscano, una donna italiana morta nell’aprile 2021 dopo essere stata vaccinata contro il coronavirus. La famiglia della 32enne si è rivolta a un medico legale e a un ematologo, che hanno stabilito che “la morte della paziente può essere attribuita agli effetti collaterali della somministrazione del vaccino Covid-19”. La donna è deceduta per trombosi vascolare cerebrale il giorno successivo alla somministrazione del farmaco di AstraZeneca.

L’azienda ha precisato comunque che “dall’insieme delle evidenze  raccolte negli studi clinici e dai dati del mondo reale, è stato  continuamente dimostrato che il vaccino” anti-Covid  “AstraZeneca-Oxford ha un profilo di sicurezza accettabile e gli enti  regolatori di tutto il mondo affermano costantemente che i benefici  della vaccinazione superano i rischi di effetti collaterali  potenzialmente estremamente rari”.

ph credi dal web

Muore dopo 2 anni di Covid, è il caso sanitario durato più a lungo

Un uomo di 72 anni è morto dopo quasi due anni di Covid (613 giorni di positività ininterrotta): è il caso clinico riferito al Congresso della European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases (ESCMID) a Barcellona da Magda Vergouwe della Amsterdam University Medical Center.

Gli esperti hanno spiegato che la persistenza dell’infezione nel suo corpo ha portato all’insorgenza di variante nuova altamente modificata geneticamente (con 50 mutazioni).

È il caso di SARS-CoV-2 più lungo mai riportato ed ha riguardato un paziente con basse difese immunitarie, una persona  immunocompromessa.

Il paziente era ricoverato presso l’Amsterdam University Medical Center dal febbraio 2022 con un’infezione da SARS-CoV-2. Il paziente assumeva immunosoppressori nell’ambito di una terapia contro un tumore del sangue, e per questo era immunocompromesso. In particolare aveva assunto un farmaco che elimina i linfociti B (globuli bianchi), inclusi quelli che normalmente producono gli anticorpi diretti contro il SARS-CoV-2.

Covid, aumentano i casi in Italia. I presidi annunciano: “Distribuiremo mascherine”

Aumentano i casi di Covid in Italia. Dalla prossima settimana “sono circa 7 milioni gli studenti che saranno di nuovo sui banchi di scuola.
“L’indicazione che arriva dai presidi ai professori e bidelli è quella di evitare gli assembramenti degli alunni, soprattutto in questi primi giorni di scuola – annuncia in una relazione il dirigente Mario Rusconi dell’Associazione presidi – . In molte scuole poi a chi lo chiederà distribuiremo le mascherine utilizzando le tantissime scorte che ci furono date durante la fase critica della pandemia. Stessa cosa avverrà con il gel disinfettante”.

foto crediti lentepubblica.it

Covid, oggi in Consiglio dei ministri lo stop all’isolamento dei positivi

Arriva oggi in Consiglio dei ministri, lo stop all’obbligo di isolamento dei positivi e relative sanzioni. A prevederlo è la bozza del decreto che introduce varie disposizioni in materia di giustizia in duscussione odierna al Consiglio dei ministri. Nella bozza del testo viene abrogata la norma che prevede “il divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura dell’isolamento”.

“Il ministero della Salute, anche sulla base dei dati ricevuti – si legge ancora – verifica l’andamento della situazione epidemiologica”. E “ai fini dell’adozione delle misure eventualmente necessarie al contenimento e al contrasto della diffusione del virus”, resta fermo il potere in capo al ministro della Salute “di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica”.

foto crediti mydoc

Covid, archiviata l’inchiesta a Brescia su Conte e Speranza

Il tribunale dei ministri a Brescia archivia le posizioni dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza, indagati nell’inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione della prima fase della pandemia in Val Seriana.

Lo confermano fonti giudiziarie.

I giudici del Tribunale dei ministri – tutti civilisti, con la presidente Maria Rosa Pipponzi presidente della sezione Lavoro – hanno accolto positivamente la richiesta di archiviazione per l’ex premier e l’ex ministro della salute Roberto Speranza “perché il fatto non sussiste”, sposando la linea della Procura di Brescia che aveva sollevato una serie di ragioni e di fatto che hanno smontato l’ipotesi accusatoria dei colleghi di Bergamo.

Secondo i giudici, “non è configurabile il reato di epidemia colposa in forma omissiva in quanto la norma in questione abbraccia la sola condotta di chi per dolo o per colpa diffonde germi patogeni e quindi la responsabilità per omesso impedimento di un evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire risulta incompatibile con la natura giuridica del reato di epidemia”. E inoltre, si legge nel provvedimento di archiviazione “va innanzitutto detto che agli atti manca del tutto la prova che le 57 persone indicate nell’imputazione, che sarebbero decedute per la mancata estensione della zona rossa” ai comuni di Alzano Lombardo e Nembro, nella Bergamasca, “rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che non ci sarebbero state se fosse stata attivata la zona rossa”.

L’archiviazione di Conte e Speranza nell’inchiesta sul Covid “è uno schiaffo in faccia a noi e all’Italia intera che si merita un sistema politico e di giustizia più trasparente. Siamo intransigenti con quanto fatto dalla Procura di Brescia e dal Tribunale dei Ministri: l’archiviazione è un vilipendio alla memoria dei nostri familiari, un bavaglio, l’ennesimo in un’Italia corrosa dall’omertà contro cui ci siamo sempre battuti e continueremo a farlo nelle sedi che ci restano, come quella civile”, scrivono i familiari della vittime del Covid dell’Associazione #Sereniesempreuniti che sono “delusi e amareggiati”.

Covid, per l’autunno un nuovo vaccino per i soggetti più deboli

L’Ema ha invitato le aziende farmaceutiche a produrre un nuovo vaccino Covid monovalente entro il prossimo autunno, per contrastare le sottovarianti di Omicron Xbb. Contemporaneamente, l’Agenzia europea del farmaco raccomanderà agli Stati membri, di far rivaccinare in autunno delle fasce più deboli e a rischio della popolazione, a partire dagli anziani e i soggetti immunodepressi. Lo spiega Marco Cavaleri, responsabile dell’Agenzia per i vaccini e prodotti terapeutici contro il coronavirus.

L’obiettivo, precisa Cavaleri, è quello di “un nuovo vaccino monovalente, che contenga solo il ceppo Xbb: perché ci stiamo spostando da un vaccino che contiene due ceppi diversi a un vaccino che non contiene più il ceppo originario del virus SarsCoV2, ovvero il ceppo Wuhan, quello con cui la pandemia è partita, perché di fatto questo ceppo non circola più”. E comunque il “ceppo Wuhan – sottolinea ancora Cavalieri – lo abbiamo già incontrato varie volte, sia con la vaccinazione sia con l’infezione naturale: per questi motivi non riteniamo più necessario rivaccinarci con questo ceppo, mentre l’idea è quella di seguire la direzione che sta prendendo il virus”.

Covid, Oms: “Finita l’emergenza sanitaria globale”

L’emergenza sanitaria globale del Covid è finita”. Lo ha annunciato il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus. Lo stato di emergenza sanitaria era stato dichiarato il 30 gennaio 2020. “Questo è un momento da celebrare ma è anche un momento per riflettere. Sono state perse vite che non dovevano essere perse, in tre anni ci sono stati almeno venti milioni di morti. Promettiamo ai nostri figli e nipoti che non faremo mai più gli stessi errori”, ha aggiunto.

“Ricordare i sacrifici fatti affinché non accada più”, gli fa eco il ministro della Salute Orazio Schillaci.

“E’ con grande speranza che ora io dichiaro la fine del Covid-19 come emergenza sanitaria globale, ma comunque questo non significa che il Covid sia finito in termini di minaccia alla salute globale”, ha poi continuato il direttore generale dell’Oms. “Resta il rischio di nuove varianti emergenti che possono causare nuove ondate di casi e morti. La cosa peggiore che i Paesi possano fare ora è usare questa notizia per abbassare la guardia, per smantellare il sistema che hanno costruito e per lanciare alla gente il messaggio che il Covid non è più qualcosa di cui preoccuparsi”.

Covid, Procura di Bergamo: “Zona rossa avrebbe evitato 4mila morti”

La Procura di Bergamo ha osservato che “andava attuato il piano pandemico”. E il procuratore Antonio Chiappani ha spiegato: “Il nostro problema è stato sì quello del mancato aggiornamento del piano, e questo riguarda un lato ministeriale, ma anche la mancata attuazione di quegli accorgimenti preventivi già previsti nel piano antinfluenzale comunque risalente al 2006. Se la zona rossa fosse stata estesa sin da subito si sarebbero evitate oltre 4mila morti”. Il pm dice inoltre che Fontana non avvisò Conte di “criticità” ad Alzano e Nembro. I parenti delle vittime hanno ringraziato i magistrati.

Conte, assieme ai componenti del Cts, nelle riunioni del 29 febbraio e 1 marzo 2020, si sarebbe “limitato a proporre (…) misure meramente integrative, senza ancora una volta, prospettare di estendere la (…) zona rossa ai comuni della Val Seriana, inclusi (…) Alzano Lombardo e Nembro nonostante l’ulteriore incremento del contagio”, in Lombardia e “l’accertamento delle condizioni che (…) corrispondevano allo scenario più catastrofico”.

Il pm sostiene poi che Fontana non avvisò Conte delle criticità ad Alzano e Nembro, ma con due “distinte mail del 27-2-2020 e del 28-2-2020” chiese a Giuseppe Conte “il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in Regione Lombardia, non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei Comuni della Val Seriana”, in particolare ad Alzano Lombardo e Nembro.

Non richiedendo dunque “ulteriori e più stringenti misure di contenimento” nonostante, scrivono i pm, “avesse piena consapevolezza della circostanza che l’indicatore r0 avesse raggiunto valore pari a 2, e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà per il numero dei casi registrati e per il numero dei contagi tra il personale sanitario”. La contestazione per Fontana va “dal 26-2-2020 sino al 3-3-2020”, data in cui “nel corso della riunione del Cts Regione Lombardia per il tramite dell’assessore al Welfare esprimeva parere favorevole all’istituzione della zona rossa”.

I pm scrivono poi che il direttore dell’Iss Silvio Brusaferro, nonostante le raccomandazioni e gli alert lanciati dall’Oms a partire dal 5 gennaio 2020 avrebbe proposto di “non dare attuazione al piano pandemico, prospettando azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste”. Brusaferro risulta pertanto indagato per epidemia colposa e rifiuto di atti d’ufficio. Con lui indagati anche, tra gli altri, l’ex ministro Roberto Speranza, l’ex dg della prevenzione del ministero, l’ex capo della Protezione civile Angelo Borrelli.

Ventidue gli indagati tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, Attilio Fontana e appunto anche dell’assessore al Welfare.

“La motivazione principale mia e della Procura è stata restituire agli italiani la verità su quelli che sono stati i processi decisionali che hanno portato a determinate scelte. Con la consulenza è stata fornita una mappa logica su quello che è successo”. E’ il commento di Andrea Crisanti, microbiologo all’Università di Padova e ora senatore del Pd, che ha firmato la maxi consulenza depositata ai pm di Bergamo.

Attilio Fontana: : “Non so sulla base di quali valutazioni il professore senatore Crisanti ha tratto le conclusioni che hanno portato a questa incriminazione. Quando si tratta di emergenza pandemica, la competenza è esclusiva dello Stato secondo la Costituzione, non secondo me. E poi se avessi emesso l’ordinanza (per la zona rossa nel Bergamasco) con chi l’avrei fatta eseguire? Non ho a disposizione né l’esercito né i carabinieri”.

“Il sacrificio dei nostri cari non sia vano. Mai più una pandemia, una qualsivoglia emergenza, ci trovi impreparati”. È l’appello lanciato da Consuelo Locati, dell’associazione “Sereni e sempre uniti” che rappresenta i familiari delle vittime di Covid, sentita oggi in audizione informale in Commissione Affari sociali della Camera nell’ambito dell’esame delle proposte di legge per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. “Noi vogliamo sapere che cosa è successo, non ci interessa la politica. A voi noi chiediamo un’altra verità”, dice. “Voi avete il dovere ridare a tutti noi la speranza di credere in qualcosa, la verità”.

“Siamo stati abbandonati, ci siamo sentiti di vivere in una realtà surreale. La Bergamasca è stato il luogo della strage più devastante dal secondo Dopoguerra. In un mese circa sono decedute più di 6mila persone come eccesso di mortalità rispetto ai 5 anni precedenti”, evidenzia Locati che pone una serie di domande: “Perché non si è intervenuti almeno a partire dal 5 di gennaio del 2020 al primo alert dell’Oms? Perché non ci è stato comunicato che il virus era già nelle nostre case e, invece di metterci al corrente del rischio che correvamo, ci dicevano che tanto era poco più di una banale influenza? E nella Bergamasca perché non si è intervenuti subito a isolarci? Noi chiedevamo di essere isolati, ma nessuno lo ha mai fatto. Perché sono stati inviati i militari nella Bergamasca il 5 marzo del 2020 e poi sono stati ritirati tre giorni dopo? Non può di certo essere un segreto di Stato, questa spiegazione non possiamo accettarla”.

Locati cita poi “il piano pandemico non adeguato, non attuato». La verità, incalza, “è che dovevamo essere pronti e non lo eravamo. Chi ci rappresenta ufficialmente ci dia risposte chiare, sincere, trasparenti – esorta – Riteniamo di avere questo diritto, perché riteniamo che queste risposte rappresentino il rispetto che le nostre istituzioni riconoscono a noi familiari e prima ancora ai nostri cari che non ci sono più. Noi abbiamo dato fiducia al Parlamento, ma finora questa fiducia non ci è stata ripagata. La Commissione d’inchiesta sarebbe la prova che anche le istituzioni vogliono riprendere una relazione coi propri cittadini. E le risposte devono essere date in tempi ragionevoli. A noi non serve un giorno per ricordare i nostri cari, perché li ricordiamo tutti i giorni e promettiamo loro che avranno giustizia e non solo nei tribunali, ma anche attraverso quelle verità che solo il Parlamento ci può dare. L’auspicio è che venga istituita una Commissione d’inchiesta bicamerale proprio per mantenere alta l’attenzione su una delle pagine più buie della nostra storia, perché analizzare ogni errore e ogni sbaglio serve perché la strage che abbiamo vissuto non si ripeta più”.

foto crediti zazoom.it

Covid, Iss: in discesa Rt, incidenza e ricoveri in Italia e nel mondo

Secondo l’Iss, continuano a scendere tutti gli indicatori della presenza del Covid in Italia. In calo l’incidenza settimanale a livello nazionale: 58 ogni 100.000 abitanti, rispetto a 65 della scorsa settimana.

Nel periodo poi che va dall’11 al 24 gennaio 2023, l’Rt è stato pari a 0,68, in diminuzione rispetto alla settimana precedente (era 0,73) e sotto la soglia epidemica.

L’occupazione in terapia intensiva è in calo al 1,8% rispetto al 2,1%, le aree mediche scendono al 5,8% rispetto al 6,4%.

Un netto calo di casi e ricoveri anche nel resto del mondo.

Covid, Remdesivir, entro 5 giorni da inizio sintomi riduce 87% le possibilità di ricovero

“Remdesivir è un farmaco antivirale per il trattamento del Covid-19. Come tutti i farmaci di questo genere, utilizzati anche per il trattamento di altre infezioni virali, è molto efficace se somministrato precocemente nel corso della malattia”. Lo ha spiegato il professor Michele Bartoletti, del Dipartimento di Scienze Biomediche, Malattie Infettive dell’Università Humanitas di Milano, intervenuto in occasione dell’incontro dal titolo ‘Covid-19: il profilo del paziente a due anni dall’inizio della pandemia e il ruolo di remdesivir nel percorso di cura’, organizzato nell’ambito del XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana dei Farmacisti Ospedalieri (SIFO), che si è di recente concluso a Bologna. “Questo- ha spiegato il professor Bartoletti- perché la malattia si caratterizza tipicamente in una fase di replicazione del virus molto attiva e precoce, per poi sconfinare verso una fase infiammatoria. Quando diamo l’antivirale nella fase infiammatoria abbiamo pochissimo effetto, mentre quando lo somministriamo nella fase di replicazione attiva del virus questo farmaco blocca immediatamente sia la progressione della malattia sia il danno che il virus fa al nostro organismo”.

È per questo, quindi, che i farmaci antivirali devono essere utilizzati molto precocemente: “Lo stesso sta accadendo con il Remdesivir- ha proseguito ancora Bartoletti- che inizialmente era stato sviluppato e usato per il trattamento della polmonite, quindi quando già il paziente era in una condizione avanzata; questo farmaco dava dei risultati buoni ma non straordinari, mentre adesso che lo utilizziamo molto precocemente, entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi, blocca la possibilità di essere ospedalizzati o di morire per la malattia dell’87%. Quindi ha un’efficacia davvero molto importante”.

Ma come fanno i pazienti ad accedere a questo antivirale?
“Sostanzialmente bisogna tenere in considerazione alcune cose- ha risposto il professor Bartoletti interpellato dalla Dire- l’antivirale, e in generale questi trattamenti, devono essere indirizzati ad una certa popolazione, cioè a chi veramente ne avrà beneficio. Se siamo di fronte ad un ragazzo giovane e vaccinato, che sta bene e non ha patologie concomitanti, probabilmente il ruolo dell’antivirale è minimo; se abbiamo invece una persona anziana con comorbidità, come per esempio patologie cardiovascolari, obesità, insufficienza renale o epatica o altri problemi di salute, tra cui una malattia oncologica in corso di trattamento o una immonudepressione, allora questo farmaco risulta estremamente efficace”.

Persone con tali caratteristiche “dovrebbero contattare il proprio medico di base all’inizio dei sintomi- ha aggiunto l’esperto- perché lui sarà in grado di indirizzare il paziente verso il trattamento. Alcuni farmaci antivirali possono essere prescritti direttamente dal medico curante, altri invece, soprattutto se c’è bisogno di un farmaco come il Remdesivir (che si utilizza per via endovenosa), devono essere indirizzati verso centri specializzati in questo tipo di trattamento. Quasi tutte le regioni e gli ospedali si sono attrezzati in questo senso, attraverso ambulatori specifici o day hospital”. Nell’ambito del simposio è emerso quindi come l’utilizzo degli antivirali, in particolare di Remdesivir, abbia ridotto l’impatto del Covid-19 dal punto di vista clinico, gestionale ed economico per i sistemi sanitari regionali e nazionale. “Lo scorso anno abbiamo condotto un’analisi di farmaco-economia sulla riduzione degli accessi in terapia intensiva e dei decessi legati all’impiego di Remdesivir. Oggi- ha spiegato il professor Alessandro Signorini, Direttore Health Economics Evaluation (HEE) Research Unit della Saint Camillus International University of Health and Medical Sciences (UniCamillus), che ha coordinato lo studio- presentiamo l’aggiornamento delle stime fino a settembre 2022. Questo secondo modello, inoltre, include anche i pazienti ad alto rischio di progressione a malattia severa, che ora possono essere trattati con il farmaco antivirale”.

I risultati, ha proseguito Signorini, indicano una “riduzione di 5.000 ospedalizzazioni, di 1.500 accessi in terapia intensiva e di 1.000 decessi, con un risparmio per il Servizio sanitario nazionale di 51 milioni di euro in un periodo di 20 settimane. Il messaggio principale è che, al di là dei risparmi e dell’outcome clinico, bisogna considerare il rapporto costo-opportunità: ridurre le ospedalizzazioni per Covid-19 significa evitare che vengano realizzati percorsi specifici e far risparmiare ulteriori risorse legate alla gestione delle strutture, oltre che migliorare la sicurezza e la salute della popolazione”. Virtuosa, intanto, è stata la gestione e la distribuzione del Remdesivir durante la pandemia nella Regione Emilia Romagna.

“L’Emilia Romagna- ha fatto sapere durante il suo intervento all’incontro la dottoressa Brunella Quarta, Dirigente Farmacista e Responsabile Centro Regionale Riferimento Antidoti, AOU di Ferrara- ha adottato un modello centralizzato della gestione delle scorte di Remdesivir, che è stato il primo farmaco antivirale ad essere autorizzato per il trattamento della malattia da Covid-19, sfruttando la rete regionale antidoti a modello ‘hub and spoke’ e identificando il Centro di riferimento nazionale antidoti della Regione come deposito unico a livello regionale”.

Il Centro, che è attivo dal 2011, coordina una rete di referenti medici e di referenti farmacisti che “collaborano per soddisfare quella che è la necessità degli antidoti a livello regionale- ha spiegato la dottoressa Quarta- e, allo stesso modo, hanno collaborato per soddisfare il fabbisogno del trattamento terapeutico durante la pandemia da Covid-19”. In particolare, sono stati “oltre 50 i farmacisti ospedalieri che hanno collaborato e che collaborano alla gestione della distribuzione dei farmaci antivirali e quindi del Remdesivir” ed è stata proprio “la solidarietà della rete, insieme all’effettiva collaborazione- ha sottolineato l’esperta- che hanno consentito di rendere tempestivamente disponibile il farmaco a garanzia del raggiungimento dell’obiettivo terapeutico, per un trattamento rapido dei pazienti affetti da Covid-19”. Sarebbe per questo “auspicabile” che tutte le Regioni italiane adottassero un modello ‘hub and spoke’, perché soprattutto in una situazione di emergenza (come può essere una pandemia ma anche una intossicazione) permette di “soddisfare il fabbisogno antidoto” e di “avere un acceso rapido alle terapie per i pazienti che ne necessitano”, ha concluso la dottoressa Quarta.

foto crediti medicoepaziente.it