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Peste suina, indagati un allevatore e un veterinario nel Pavese

Il titolare di un allevamento di Zinasco, nel Pavese, e un veterinario dell’azienda per cui lavora, sarebbero stati indagati dalla Procura di Pavia per peste suina, non segnalata ai primi casi di bestiame per morti sospette.

I due sono sarebbero già stati ascoltati dagli inquirenti, mentre gli allevamenti di suini che si trovano poco distanti dal loro, sono stati sequestrati.

A Zinasco, in particolare, due i focolai già accertati di peste suina.

foto crediti laprovinciapavese

Covid, Procura di Bergamo: “Zona rossa avrebbe evitato 4mila morti”

La Procura di Bergamo ha osservato che “andava attuato il piano pandemico”. E il procuratore Antonio Chiappani ha spiegato: “Il nostro problema è stato sì quello del mancato aggiornamento del piano, e questo riguarda un lato ministeriale, ma anche la mancata attuazione di quegli accorgimenti preventivi già previsti nel piano antinfluenzale comunque risalente al 2006. Se la zona rossa fosse stata estesa sin da subito si sarebbero evitate oltre 4mila morti”. Il pm dice inoltre che Fontana non avvisò Conte di “criticità” ad Alzano e Nembro. I parenti delle vittime hanno ringraziato i magistrati.

Conte, assieme ai componenti del Cts, nelle riunioni del 29 febbraio e 1 marzo 2020, si sarebbe “limitato a proporre (…) misure meramente integrative, senza ancora una volta, prospettare di estendere la (…) zona rossa ai comuni della Val Seriana, inclusi (…) Alzano Lombardo e Nembro nonostante l’ulteriore incremento del contagio”, in Lombardia e “l’accertamento delle condizioni che (…) corrispondevano allo scenario più catastrofico”.

Il pm sostiene poi che Fontana non avvisò Conte delle criticità ad Alzano e Nembro, ma con due “distinte mail del 27-2-2020 e del 28-2-2020” chiese a Giuseppe Conte “il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in Regione Lombardia, non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei Comuni della Val Seriana”, in particolare ad Alzano Lombardo e Nembro.

Non richiedendo dunque “ulteriori e più stringenti misure di contenimento” nonostante, scrivono i pm, “avesse piena consapevolezza della circostanza che l’indicatore r0 avesse raggiunto valore pari a 2, e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà per il numero dei casi registrati e per il numero dei contagi tra il personale sanitario”. La contestazione per Fontana va “dal 26-2-2020 sino al 3-3-2020”, data in cui “nel corso della riunione del Cts Regione Lombardia per il tramite dell’assessore al Welfare esprimeva parere favorevole all’istituzione della zona rossa”.

I pm scrivono poi che il direttore dell’Iss Silvio Brusaferro, nonostante le raccomandazioni e gli alert lanciati dall’Oms a partire dal 5 gennaio 2020 avrebbe proposto di “non dare attuazione al piano pandemico, prospettando azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste”. Brusaferro risulta pertanto indagato per epidemia colposa e rifiuto di atti d’ufficio. Con lui indagati anche, tra gli altri, l’ex ministro Roberto Speranza, l’ex dg della prevenzione del ministero, l’ex capo della Protezione civile Angelo Borrelli.

Ventidue gli indagati tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, Attilio Fontana e appunto anche dell’assessore al Welfare.

“La motivazione principale mia e della Procura è stata restituire agli italiani la verità su quelli che sono stati i processi decisionali che hanno portato a determinate scelte. Con la consulenza è stata fornita una mappa logica su quello che è successo”. E’ il commento di Andrea Crisanti, microbiologo all’Università di Padova e ora senatore del Pd, che ha firmato la maxi consulenza depositata ai pm di Bergamo.

Attilio Fontana: : “Non so sulla base di quali valutazioni il professore senatore Crisanti ha tratto le conclusioni che hanno portato a questa incriminazione. Quando si tratta di emergenza pandemica, la competenza è esclusiva dello Stato secondo la Costituzione, non secondo me. E poi se avessi emesso l’ordinanza (per la zona rossa nel Bergamasco) con chi l’avrei fatta eseguire? Non ho a disposizione né l’esercito né i carabinieri”.

“Il sacrificio dei nostri cari non sia vano. Mai più una pandemia, una qualsivoglia emergenza, ci trovi impreparati”. È l’appello lanciato da Consuelo Locati, dell’associazione “Sereni e sempre uniti” che rappresenta i familiari delle vittime di Covid, sentita oggi in audizione informale in Commissione Affari sociali della Camera nell’ambito dell’esame delle proposte di legge per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. “Noi vogliamo sapere che cosa è successo, non ci interessa la politica. A voi noi chiediamo un’altra verità”, dice. “Voi avete il dovere ridare a tutti noi la speranza di credere in qualcosa, la verità”.

“Siamo stati abbandonati, ci siamo sentiti di vivere in una realtà surreale. La Bergamasca è stato il luogo della strage più devastante dal secondo Dopoguerra. In un mese circa sono decedute più di 6mila persone come eccesso di mortalità rispetto ai 5 anni precedenti”, evidenzia Locati che pone una serie di domande: “Perché non si è intervenuti almeno a partire dal 5 di gennaio del 2020 al primo alert dell’Oms? Perché non ci è stato comunicato che il virus era già nelle nostre case e, invece di metterci al corrente del rischio che correvamo, ci dicevano che tanto era poco più di una banale influenza? E nella Bergamasca perché non si è intervenuti subito a isolarci? Noi chiedevamo di essere isolati, ma nessuno lo ha mai fatto. Perché sono stati inviati i militari nella Bergamasca il 5 marzo del 2020 e poi sono stati ritirati tre giorni dopo? Non può di certo essere un segreto di Stato, questa spiegazione non possiamo accettarla”.

Locati cita poi “il piano pandemico non adeguato, non attuato». La verità, incalza, “è che dovevamo essere pronti e non lo eravamo. Chi ci rappresenta ufficialmente ci dia risposte chiare, sincere, trasparenti – esorta – Riteniamo di avere questo diritto, perché riteniamo che queste risposte rappresentino il rispetto che le nostre istituzioni riconoscono a noi familiari e prima ancora ai nostri cari che non ci sono più. Noi abbiamo dato fiducia al Parlamento, ma finora questa fiducia non ci è stata ripagata. La Commissione d’inchiesta sarebbe la prova che anche le istituzioni vogliono riprendere una relazione coi propri cittadini. E le risposte devono essere date in tempi ragionevoli. A noi non serve un giorno per ricordare i nostri cari, perché li ricordiamo tutti i giorni e promettiamo loro che avranno giustizia e non solo nei tribunali, ma anche attraverso quelle verità che solo il Parlamento ci può dare. L’auspicio è che venga istituita una Commissione d’inchiesta bicamerale proprio per mantenere alta l’attenzione su una delle pagine più buie della nostra storia, perché analizzare ogni errore e ogni sbaglio serve perché la strage che abbiamo vissuto non si ripeta più”.

foto crediti zazoom.it

Faenza (Ravenna), macellaio morto nel 2019: due indagati

Due persone indagate per il caso del macellario di 64 anni Domenico Montanari, trovato morto impiccato nella su abottega a Faenza (Ravenna).

Trattasi di un ex vigile urbano di 53 anni e di un 40enne di origine albanese, indagati per omicidio volontario in concorso per la morte del macellario ucciso, il 26 luglio del 2019.

Inizialmente l’ex vigile era stato accusato di istigazione al suicidio; poi aveva prevalso la morte come conseguenza di altro reato, in questo caso l’usura. Ora invece l’accusa è diventata quella di omicidio.

Uccisa dal fratello: tre indagati per omessa denuncia

Alice Scagni, fu uccisa dal fratello a coltellate a maggio scorso. Due agenti di polizia e un medico indagati nell’ambito dell’inchiesta sul caso della sua morte.

Le ipotesi di reato sono omissione di atti d’ufficio e omessa denuncia. “La notizia che finalmente ci sono tre indagati sulle omissioni gravi che si sono manifestate in questa drammatica vicenda non può non farmi piacere, è un primo passo verso l’accertamento della verità”, ha detto il legale che assiste i genitori della vittima.

Il fascicolo era stato aperto dalla procura di Genova a pochi giorni dai fatti quando i genitori di Alice e Alberto, sentiti dalla squadra mobile e dal sostituto procuratore Crispo avevano accusato la polizia e il centro di salute mentale di non aver preso sul serio gli allarmi lasciati dai familiari nei giorni precedenti l’omicidio. Avendo visto dei comportamenti strani nel figlio.

L’incendio alla porta della nonna il giorno prima, le telefonate ai genitori per chiedere soldi e in particolare quella arrivata intorno alle 13.20 del 1 maggio ricevuta e registrata dal padre che si era conclusa con: “Lo sai stasera dove sono Gianluca e tua figlia? Se non trovo i soldi sul conto tra 5 minuti, lo sai dove cazzo sono?”.

Gli Scagni avevano chiamato il 112, ma dalla centrale operativa gli era stato risposto che se la minaccia non era immediata, vale a dire che il figlio non si trovava sotto casa, non potevano mandare volanti, anche perché essendo un giorno festivo non ce n’erano a disposizione, e li invitavano a far denuncia il giorno seguente. E poi quella frase, pronunciata da un poliziotto “Signo’ non famola tragica”.

I nomi degli indagati sono al momento secreti ma proprio in queste ore stanno ricevendo l’avviso di garanzia. Il fascicolo è direttamente in mano al procuratore aggiunto Ranieri Miniati.

Nell’esposto depositato dal legale della famiglia Scagni Fabio Anselmo sotto accusa era finito il medico della salute mentale che il 28 aprile i genitori avevano chiesto un ricovero per Alberto che tuttavia, aveva spiegato che prima di disporre un ‘aso’ (accertamento sanitario obbligatorio) voleva parlarne con il suo primario.

Incidente in raffineria a Falconara, 18 indagati

Sono state chiuse le indagini partite dopo l’incidente avvenuto nel 2018 sul tetto del serbatoio TK 61 della Raffineria Api di Falconara Marittima (Ancona), uno dei più grandi stabilimenti d’Europa per una capacità di portata pari a 160mila metri cubi di petrolio greggio, con fortissime esalazioni: 18 gli indagati, ai quali i carabinieri del Noe hanno notificato gli avvisi di garanzia.

L’accusa è di disastro ambientale, gestione illecita di ingenti quantitativi di rifiuti speciali, getto pericoloso di cose, lesioni personali a carico dei cittadini i reati contestati a vario titolo.

Presunti concorsi truccati all’università: tra gli indagati c’è anche il dr. Massimo Galli

Tra gli indagati della procura di Milano nell’ambito di un’inchiesta del Nas dei Carabinieri su presunti concorsi truccati all’Università degli Studi di Milano, ci sarebbe anche il dr. Massimo Galli,  infettivologo, primario del reparto di Malattie infettive all’Ospedale Sacco di Milano.

Trentatre le persone indagate, di cui  24 docenti universitari di importanti Atenei delle province di Milano, Pavia, Torino, Roma e Palermo. Il virologo sarebbe indagato per turbata libertà degli incanti e falso ideologico insieme a docenti di altri atenei. “Associazione a delinquere per il sistematico condizionamento dei concorsi”.

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Funivia Mottarone, disastro causato: ci sono tre indagati

Una strage che si sarebbe potuta evitare. Da un mese infatti,  la cabina della funivia del Mottarone è stata una vera e propria roulette russa per chi ci ha viaggiato sopra.

Da quando l’impianto, ripartito il 26 aprile scorso, dopo il blocco per le norme anti-Covid, i freni di emergenza erano stati disattivati inserendo almeno un forchettone per evitare che l’impianto continuasse a bloccarsi a causa di una serie di anomalie che facevano scattare i sistemi di sicurezza.

Domenica mattina, quando la fune di trazione si è spezzata all’arrivo nella stazione di monte, la cabina, libera dall’unico vincolo, è diventata un proiettile, ha ripercorso a ritroso gli ultimi 300 metri che aveva fatto a una velocità di oltre 100 km all’ora che l’ha fatta sganciare dalla fune portante e precipitare, schiantandosi a terra e uccidendo 14 dei 15 passeggeri.

Il gestore della funivia Luigi Nerini, il consulente esterno Enrico Perocchio e del capo servizio dell’impianto Gabriele Tadini, sono accusati dalla procura di Verbania di omicidi colposo plurimo per la tragedia sulla funivia del Mottarone, in concorso tra loro, scrive la procura nel capo di imputazione, “omettevano di rimuovere i forchettoni rossi aventi la funzione di bloccare il freno” della cabinovia quindi “destinato a prevenire i disastri”, così “cagionando il disastro da cui derivava la morte delle persone”.

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