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Istat “Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza”, quanta importanza ha l’abbigliamento

Sarebbe quasi il 20%, la percentuale maschile che è convinta che le violenze sessuali siano provocate dal modo di vestire delle donne. È il dato che emergerebbe dalle prime risultanze sul periodo maggio-luglio 2023 diffuso da un’indagine condotta dall’Istat su “Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza”, secondo cui il 48,7% degli intervistati ha ancora almeno uno stereotipo sulla violenza sessuale e il 39,3% degli uomini pensa che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole.

Tra il 2018 e il 2023, sempre secondo suddetto rapporto Istat, si riducono “gli stereotipi sui ruoli di genere, ma si allarga la distanza tra le opinioni degli uomini e delle donne. Sono soprattutto le donne ad avere meno stereotipi”. Per quanto riguarda invece la coppia, la violenza fisica è meno tollerata, ma il 2,3% delle persone ritiene accettabile sempre o in alcune circostanze che “un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha civettato/flirtato con un altro uomo”, e per il 4,3% degli italiani è accettabile sempre o in alcune circostanze che “in una coppia ci scappi uno schiaffo ogni tanto”. Inoltre, il 10,2% degli intervistati, soprattutto tra i giovani, dichiara di “accettare ancora il controllo dell’uomo sulla comunicazione (cellulare e social) della propria moglie o compagna”.

Per il 31,4% degli intervistati le donne si “vergognano meno” a parlare di violenza. Questo, oltre al “lavoro dei media nel diffondere le notizie (23,2%)” e le iniziative condotte “a favore delle donne vittime (15,8%)” aiuta a “far crescere la consapevolezza della gravità del fenomeno”. Il 17,9% ritiene infatti che “si parla sempre più spesso della violenza sulle donne perché è aumentata”.

Mare inquinato da poliestere, per frammenti dei nostri vestiti sintetici

Francesca Rulli, fondatrice e CEO della società di consulenza Process Factory, proprietaria del marchio 4sustainability garantisce autenticità al percorso delle aziende della filiera della moda verso la sostenibilità.

L’Artico è invaso da microplastiche. Tant’è che recente studio pubblicato su Nature Communications aggiunge un nuovo tassello che ci chiama in causa in prima persona, come cittadini e come consumatori. Esaminando i campioni d’acqua raccolti in 71 diverse località, i ricercatori hanno rilevato una concentrazione media di 49 minuscole particelle di plastica per metro cubo. Il 73,3% era costituito da poliestere; in altre parole, da frammenti dei nostri vestiti sintetici.

Sembrerebbe infatti che su 1,4 milioni di miliardi di microfibre presenti negli oceani, l’IUCN stimi che il 35% derivi proprio dal lavaggio dei capi d’abbigliamento. Una percentuale considerevole; d’altra parte, appena 5 kg di fibra di poliestere possono generare fino a 6 milioni di microplastiche (De Falco, 2018). Preoccupa infatti quello che queste particelle, una volta ingerite dai pesci, possano causare, una volta che entrano nella catena alimentare e quindi nel nostro organismo,

Rilevate, infatti, tracce nella frutta e nella verdura, nel miele, nell’acqua di rubinetto e addirittura nella placenta umana. Ancora sconosciuti gli effetti sulla salute, ma diverse pubblicazioni scientifiche ci mettono in guardia dal loro contenuto di bisfenolo A, ftalati, metalli pesanti ecc.