Matteo Salvini assicura: “Se la Meloni prenderà un voto in più sarà premier”
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“Chi prenderà un solo voto in più nella coalizione avrà l’onore e l’onere di essere il nuovo presidente del Consiglio. Lo ha detto a chiare lettere Matteo Salvini che, in vista delle elezioni politiche fissate per domenica 25 settembre, ha confermato le regole interne al centrodestra per quanto riguarda la premiership: “Questa è la democrazia. Se prende un voto in più Giorgia Meloni, il premier lo fa Giorgia Meloni. Se prende un voto in più Matteo Salvini, lo fa Matteo Salvini. Più chiaro, bello e lineare di così non si può”.

Lo ha garantito anche Antonio Tajani, secondo cui le regole restano quelle di sempre: “Chi prende più voti esprime il nome per il premier al capo dello Stato, poi toccherà a lui”. Il coordinatore nazionale di Forza Italia ha assicurato che “non c’è nessuna preclusione nei confronti degli altri, soprattutto degli alleati”.

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E lo aveva detto giorni fa anche Silvio Berlusconi.

“Carlo Calenda e i suoi devono decidere se fare o no l’accordo con noi, se fare una lista unica.

Noi siamo disponibili a stare in squadra perché il Terzo polo sarebbe la grande sorpresa delle elezioni e solo con un terzo Polo forte si potrà chiedere a Draghi di rimanere a Palazzo Chigi”, ha detto Matteo Renzi parlando a Omnibus.

“Con Renzi ci siamo parlati ieri e ci riparleremo oggi.

Ma quello che voglio è chiarezza sui temi e sui comportamenti. Ho deciso di dedicare questa parte della mia vita alla politica ma non ho intenzione di giorcamri la reputazione”, ha detto il leader di Azione, Carlo Calenda a Morning News su Canale 5.

Chiuse intanto le autocandidature del Movimento 5 stelle, si attende ora la lista ufficiale per il voto online del 16 agosto prossimo. Assenti l’ex deputato, l’ex portavoce di Conte e l’ex prima cittadina di Roma. Tanti i deputati e senatori al primo giro che hanno deciso di ritentare la corsa al Parlamento.

Dopo lo strappo di Calenda, il ministro degli esteri Luigi Di Maio potrà avere un collegio, insieme a 4 dei suoi fedelissimi. Sfuma quindi l’offerta del Pd per il “diritto di tribuna”.